Il comune romano strinse con lui alleanza; in Toscana il partito ghibellino, capitanato dai senesi, ottenne una netta vittoria nella celeberrima battaglia di Montaperti (4 settembre 1260) e divennero padroni di Firenze con l'ausilio delle truppe di Manfredi; nell'Italia settentrionale, dopo la catastrofe di Ezzelino (1259), i ghibellini rimasti assai forti fecero capo a lui. Portò dapprima il cognome di Lancia. Manfrédi re di Sicilia. Attualmente, ogni anno, nella città di Trani, a cui il re era molto legato, viene rievocato il matrimonio avvenuto nel 1259. Uomo di profonda cultura, aveva studiato a Parigi e Bologna dopo essersi formato alla … Questi ben presto era divenuto sospettoso e ostile verso Manfredi, il quale dovette rinunciare a tutti i feudi minori e accettare anche la diminuzione della sua autorità nel principato di Taranto. Fra il 1258 e il 1260 la potenza di Manfredi si estese rapidamente in tutta Italia, essendo egli divenuto ovunque capo della parte ghibellina. La Campania venne però occupata dalle truppe pontificie. “Iο mi volsi ver’ lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso”: così Dante Alighieri, nel III canto del Purgatorio, descrive il suo incontro con Manfredi di Svevia (1232-1266). Poté nominare vicari imperiali in Toscana, nel ducato di Spoleto, nella Marca anconitana, in Romagna e in Lombardia. Anche in Italia settentrionale, dopo la catastrofe di Ezzelino III da Romano (1259), i ghibellini, rimasti assai forti, fecero capo a lui. Quindi, in un primo tempo, Urbano IV tentò di vendere il regno a Riccardo di Cornovaglia, che vantava anche una discendenza normanna, e poi a suo nipote Edmondo di Lancaster, ma senza successo. Il suo governo umano gli conciliò l'affetto dei popoli. Morto nel dicembre 1254 a Napoli Innocenzo IV, la guerra continuò contro il successore Alessandro IV, assai meno energico, essendo fallito un nuovo tentativo d'accordo ed essendo stata pronunciata dal papa il 25 marzo 1255 una nuova scomunica contro Manfredi. L'araldista italiano Goffredo di Crollalanza, invece, attribuisce a Manfredi un vessillo azzurro all'aquila d'argento. Manfredi godeva di un prestigio immenso presso i suoi sia per le sue qualità di condottiero sia per quelle di uomo di corte e di amante delle lettere e delle arti. La guerra procedette assai vantaggiosamente per Manfredi, che nel corso del 1257 si trovò ad aver vinto completamente la parte papale e domate le ribellioni, rimanendo in saldo possesso del regno, mentre Corradino dalla Germania gli aveva ripetutamente conferito i poteri vicariali. Era figlio naturale di Federico II di Svevia e di Bianca dei conti Lancia e Signori di Longi dei Duchi di Baviera, sposata dall'imperatore solo poco prima della sua morte e, quindi, pienamente legittimato, malgrado la Curia romana disconoscesse quel vincolo matrimoniale, mossa com'era dal su… Federico II morì il 13 dicembre 1250 e lasciò a Manfredi il Principato di Taranto con altri feudi minori; gli affidò inoltre la luogotenenza in Italia, in particolare quella del Regno di Sicilia, finché non fosse giunto l'erede legittimo, il fratellastro di Manfredi, Corrado IV, che in quel momento era impegnato in Germania. Tentò anche trattative di accordo con Innocenzo IV, senza concludere nulla (si pensa che volesse farsi investire del regno dal papa). Il 21 maggio 1254 Corrado morì di malaria[7], lasciando il figlio Corradino (ancora bambino e rimasto in Germania) sotto la tutela del papa e nominando governatore del regno il marchese Bertoldo di Hohenburg. Dopo la battaglia di Benevento e la morte di Manfredi i resti del Regno di Sicilia furono conquistati senza difficoltà dagli Angioini e ai ghibellini esuli dalle loro città restava solo una speranza, quel Corradino di Svevia, ultimo degli Hohenstaufen. Manfredi Figlio naturale di Federico II di Svevia e di Bianca dei conti Lancia, dal quale inizialmente prese il cognome, Manfredi nasce nel 1232. Figlio di Corrado IV e di Elisabetta di Baviera; nato a Landshut nel 1252; orfano del padre già a due anni, Corradino di Svevia fu allevato dai parenti materni. Nell'ottobre 1251 Corrado scese in Italia e nel gennaio 1252 sbarcò a Siponto, proseguendo insieme al fratello nella pacificazione del regno. Studiò a Parigi e a Bologna; dal padre apprese l'amore per la poesia e per la scienza, amore che mantenne da re. Il suo dominio si estese anche in Epiro (Grecia), sulle terre portategli in dote dalla seconda moglie Elena Ducas; la sua potenza fu aumentata anche dal matrimonio della figlia Costanza con Pietro III d'Aragona (1262). Carlo giunse a Roma per mare, nel giugno 1265, sfuggendo alla flotta siciliana. Nel 1256 Manfredi fondò Manfredonia, nei pressi dell'antica Siponto: nei progetti del regnante, Manfredonia era stata designata a fungere da capitale di Puglia ("Apuliae Caput", dove per Apuliae si intendeva in quel tempo tutto il meridione continentale) e importante centro per i traffici commerciali del Mediterraneo. A Manfredi, secondo una tesi consolidata, sarebbe da attribuire l'iniziativa dell'adozione, quale stemma del Regno di Sicilia, della cosiddetta arme di Svevia-Sicilia, ovvero l'insegna d'argento all'aquila con il volo abbassato di nero[14], derivata dallo stemma imperiale[15]. Ottenne l'ingresso e la fedeltà dei Saraceni (2 novembre) e con il tesoro paterno trovato là poté arruolare altre truppe. Dal padre apprese l'amore della poesia e della scienza. Un'ultima insegna attribuita a Manfredi è riprodotta in una delle miniature della Chronica Majora, importante manoscritto medievale del monaco benedettino e cronista inglese Matthew Paris. La battaglia è un massacro e Carlo d'Angiò resta padrone del campo. Ancora nell'Historia della Città e Regno di Napoli, alla base della tavola a corredo della biografia di Manfredi, è riportata un'ulteriore e particolare arme, che, nelle pagine precedenti dell'opera, è ricondotta anche a Federico II[18]: si tratta di uno stemma con aquila bicipite, che reca, caricato in cuore, uno scudetto, il quale, con capo troncato cuneato da parte a parte, è interzato in palo, con, nel primo terziere, tre pini o pigne male ordinate, nel secondo, tre leoni passanti, posti l'uno sull'altro, ovvero l'arme di Svevia, e, nell'ultimo, la croce di Gerusalemme[19]. Era figlio naturale di Federico II di Svevia e Bianca Lancia. Manfredi, non ritenendosi sicuro di fronte al papa, si recò segretamente in Puglia, a Lucera, ove si trovava tuttora la forte truppa saracena stanziata in quei luoghi da Federico II. La presenza di quest'ultima pezza onorevole, commenta Angelo Scordo, è «a dir poco misteriosa»[20], sebbene, sulla scorta del fatto storico descritto dal Paris[21], potrebbe essere ipotizzabile che tale brisura stia a ricordare l'atto d'omaggio di cui fu tributato Manfredi dai nobili di Puglia nel 1254 e il sostegno ricevuto nella lotta contro il Papato[22]. Manfredi di Svevia ed Elena d'Epiro, questi sconosciuti. Ora sì che conosciamo quanto fosse dolce il governo tuo, posto in confronto dell'amarezza presente. Dalle eloquenti parole del Summonte, appare chiaro, dunque, come costui attribuisca a Manfredi il mutamento di smalto e, dunque, l'introduzione del campo d'argento, in luogo dell'oro, ritenendo, di conseguenza, riconducibile a quest'ultimo (e non a lui precedente) il primato dell'adozione dell'arme di Svevia-Sicilia[16]. Manfredi agì con energia per ristabilire il dominio svevo e riuscì a ricondurre all'obbedienza varie città ribelli, ma non Napoli. Riconosciuto il corpo, fu seppellito sul campo di battaglia sotto un mucchio di pietre, ma la tomba fu ben presto distrutta con l'avvento degli angioini nel Regno di Sicilia. Tale insegna, se realmente adottata, potrebbe essere spiegata supponendo che essa sia stata adoperata prima della legittimazione: per cui il figlio dello stupor mundi avrebbe scelto di portare «l'aquila Staufica, ma "brisata" dalla sostituzione di nero e oro con gli smalti dell'arma materna [...]»[17]. - Figlio naturale (n. 1232 - m. Benevento 1266) dell'imperatore Federico II e di Bianca Lancia, poi legittimato. Egli poté nominare vicari in Toscana, nel ducato di Spoleto, nella marca d'Ancona, in Romagna e in Lombardia. Il ritratto di un principe che ha dovuto barcamenarsi tra papato e impero, tra potere e tradimenti, tra amore e guerra. così Dante descrive Manfredi di Svevia, morto a 34 anni nella Battaglia di Benevento (1266) combattendo eroicamente contro l'Esercito di Papa Urbano IV schierato con l'invasore Carlo d’Angiò. In seguito racconta loro la storia della sua morte nella battaglia di Benevento e rivela l’ingiusta persecuzione che l’arcivescovo di Cosenza fece contro le sue spoglie. Alla fine del 1248 o all'inizio del 1249[4], la data è incerta, sposò Beatrice di Savoia, figlia del conte Amedeo IV di Savoia e di Margherita di Borgogna. L’ultimo viaggio di Manfredi di Svevia. Diffusasi nel 1258, probabilmente per opera stessa di Manfredi[9], la voce della morte di Corradino, i prelati e i baroni del regno invitarono Manfredi a salire sul trono ed egli fu incoronato il 10 agosto nella cattedrale di Palermo da Rinaldo Acquaviva, vescovo di Agrigento. Pur senza alcuna prova documentaria, secondo alcuni Manfredi sarebbe nato ed avrebbe vissuto la sua fanciullezza a Venosa[1], mentre secondo recenti studi potrebbe essere nato nel castello di San Gervasio e visse la sua fanciullezza nel territorio tra il Vulture e l'Alto Bradano, nell'odierna Basilicata[2]. Corse voce che Manfredi avesse fatto avvelenare il fratello, ma non si hanno certezze veritiere di alcun fondamento. Figlio naturale (1232- Benevento, 1266) di Federico II di Svevia e di Bianca dei conti Lancia, la quale fu sposata prima della morte dall'Imperatore (rimane dubbio se con questo atto Manfredi risultasse legittimato). Tu ci sembravi un lupo rapace fra le pecorelle di questo regno; ma da che per la nostra volubilità ed incostanza siamo caduti sotto il presente dominio, tanto da noi desiderato, ci accorgiamo infine, che tu eri un agnello mansueto. Fara Misuraca Corse voce che Manfredi avesse fatto avvelenare il fratello, ma al riguardo non si hanno prove. Ulteriori conferme, con tutti i limiti e le cautele proprie di questo genere di riscontri a fini probatori, potrebbero arrivare, inoltre, dall'iconografia legata al sovrano siciliano e, nello specifico, dalle diverse miniature della Nova Cronica, nelle quali l'arme associata a Manfredi è, a ogni sua occorrenza, d'argento all'aquila di nero[15]. L'11 ottobre 1254, presso il ponte del fiume Verde (l'attuale Liri), a Ceprano, Manfredi prestò il servizio di stratore e il giuramento di fedeltà a Innocenzo IV. Tale elezione non venne riconosciuta dal papa Alessandro IV che ritenne pertanto Manfredi un usurpatore. La Bibbia di Manfredi è un codice miniato duecentesco scritto dall'amanuense Johensis: questa Bibbia - che presenta notevoli influssi dell'arte gotica francese e inglese - fu realizzata a Napoli per lo stesso Manfredi tra il 1250 e il 1258, come attesta la dedica al principe[13]: essa fu di prototipo per altri codici, che si pensa siano usciti da una bottega miniatoria di Napoli attiva per la corte e per l'ambiente universitario. Tentò anche di giungere a un accordo con Innocenzo IV, ma non arrivò a nulla (si pensa che volesse farsi investire del Regno dal papa). Il 2 giugno 1259 Manfredi, da poco vedovo di Beatrice di Savoia, sposò nel castello di Trani, in virtù di una serie di accordi diplomatici, Elena Ducas, figlia del despota d'Epiro Michele II[10]. «d'oro, all'aquila bicipite col volo abbassato di nero, colla fascia d'argento attraversante sul tutto[23]», Stemma associato a Manfredi, nella tavola raffigurante il sovrano, nell'Historia della Città e Regno di Napoli, Stemma attribuito a Manfredi, nella Chronica Majora, la maternità di Bianca appare non unanimemente accettata; Federico potrebbe aver concepito Manfredi con un'altra donna, e poi aver legittimato l'erede sposando la Lancia - probabilmente nel 1248-. Al papa non riuscì l'intento di arruolare i re d'Inghilterra e di Norvegia in una Crociata contro gli Hohenstaufen, anzi la guerra procedette vantaggiosamente per Manfredi, che nel corso del 1257 sbaragliò l'esercito pontificio e domò le ribellioni interne, rimanendo in saldo possesso del regno, mentre dalla Germania il giovanissimo nipote Corradino gli conferiva ripetutamente i poteri vicariali. Nell'ottobre 1253 Napoli fu presa da Corrado. Canto III versi 123-131). Gli storici sono concordi nel ritenere il fatto derivante da un'iniziativa autonoma dell'arcivescovo che nutriva per Manfredi un profondo odio personale; Clemente IV diede in realtà soltanto il proprio consenso, da Viterbo, a questa iniziativa[12] e il corpo riesumato fu deposto o disperso, quale scomunicato, fuori dai confini del regno angioino, nei pressi del fiume Garigliano, in un luogo tuttora sconosciuto. Il comune romano strinse un'alleanza con lui. «[...] Io mi volsi ver lui e guardail fiso:biondo era e bello e di gentile aspetto,ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. A tal proposito, infatti, l'araldista tedesco Erich Gritzner sostenne che «nel 1261, le bandiere di guerra di Manfredi erano di zendale bianco caricato di un'aquila nera». Alla morte del padre, avvenuta nel 1250, divenne reggente del regno di Sicilia, al posto del legittimo successore, Corrado IV di Svevia, suo fratellastro, che si trovava in Germania. Manfredi di Hohenstaufen, o Manfredi di Svevia o Manfredi di Sicilia (Venosa, 1232 – Benevento, 26 febbraio 1266), è stato l'ultimo sovrano della dinastia sveva del Regno di Sicilia. Fra il 1258 e il 1260 la potenza di Manfredi, diventato ovunque capo della fazione ghibellina, si estese in tutta Italia. Italia dopo Federico II Alla morte di Federico II esplosero i contrasti già importanti tra Guelfi e Ghibellini e la guerra per il dominio del regno di Sicilia tra Papato, Angioini e Aragonesi. Figlio illegittimo (secondo altre fonti, legittimato) dell'imperatore Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, fu reggente per il nipote Corradino dal 1254, poi re di Sicilia dal 1258. Dichiarato dal Papa l'usurpatore di Napoli, Manfredi fu scomunicato nel luglio del 1254. La battaglia campale avvenne presso Benevento il 26 febbraio 1266; le milizie saracene e tedesche fecero viva ma non fortunata resistenza, quelle italiane abbandonarono Manfredi, che morì combattendo con disperato valore. Il 10 agosto del 1258, diffusasi l'idea della morte di Corradino di Svevia, che invece risiedeva in Germania con la sua corte, i prelati e i baroni del Regno offrirono al principe Manfredi la corona del regno di Sicilia, che lui stesso accettò. Vano riuscì l'appello rivolto da Manfredi ai Romani con un manifesto (24 maggio) in cui chiedeva di essere nominato Imperatore da loro, quali detentori dell'autorità imperiale. Alla morte del padre (1250) fu reggente per il fratellastro Corrado IV allora in Germania, osteggiato da papa Innocenzo IV e da una parte della feudalità del regno, e specialmente da Pietro Ruffo, vicario in Calabria e Sicilia. Manfredi di Svevia, l’unico figlio illegittimo di Federico II che questi ha legittimato prima di morire, rendendolo il solo Hohenstaufen in grado di poter tenere uniti impero e reame. Questi ben presto era divenuto sospettoso e ostile verso Manfredi, il quale dovette rinunciare a tutti i feudi minori e accettare anche la diminuzione della sua autorità nel principato di Taranto. Ereditò nel 1250, dopo la morte del padre, il principato di Taranto e la reggenza sul regno di Sicilia e quindi su tutti i territori degli Svevi-Altavilla in Italia Meridionale, che esercitava in nome del suo frattellastro Corrado che risiedeva in Germania nel ducato di Svevia. La scabrosa posizione di Manfredi divenne ancor più difficile in seguito all'uccisione da parte dei suoi militi di un barone protetto dalla curia. Quando, nel 1250, il padre morì, prese saldamente il controllo del regno di Sicilia e dell'Italia Meridionale, fino all'arrivo di Corrado IV, l'erede legittimo, dalla Germania. In questo tramonto del 12 febbraio del 1266, tramontano insieme la vita di Manfredi ed il Regno di Sicilia. LA COMPLICATA EREDITÀ DI FEDERICO II Con la morte di Federico II, il 13 dicembre 1250, Manfredi finì alla guida del Principato di Taranto ed ottenne la luogotenenza in Italia, in particolare quella del Regno di Sicilia, finché non fosse giunto a reclamare il trono l’erede legittimo, il fratellastro Corrado IV, che era rimasto impegnato in Germania. Il tentativo di abboccamento fallì e Bertoldo rinunciò alla carica lasciando campo libero a Manfredi, che riprese il controllo del Regno di Sicilia.